di Danilo Borri

“Tutto è nuovo in questa tragedia e tutto è semplice. Tutto è violento e tutto è pacato nello stesso tempo. L’uomo primitivo, nella natura immutabile, parla il linguaggio delle passioni elementari… E qualcosa di omerico si diffonde su certe scene di dolore. Per rappresentare una tale tragedia son necessari attori vergini, pieni di vita raccolta. Perché qui tutto è canto e mimica… Bisogna assolutamente rifiutare ogni falsità teatrale”.

Sono le stesse parole che d’Annunzio scrisse in una lettera al suo amico Francesco Paolo Michetti a chiarire quale fosse l’intento del Vate che si accingeva a scrivere quella che sarà la sua tragedia più fortunata, “La figlia di Jorio”.

Cercare di sfiorare le vette di teatralità “omerica” toccate da Eschilo e da Sofocle prima di lui, autori ai quali il poeta aveva sempre guardato come un obiettivo fondamentale per l’innalzarsi della sua di arte. La tragedia non vede come protagonisti soltanto il pastore Aligi e, soprattutto Mila di Codra, ma anche l’Abruzzo stesso, terra natale di d’Annunzio e di Michetti, uniti da profonda amicizia umana e artistica. Del resto, comune fu la fonte ispiratrice per il testo dannunziano e per l’omonimo quadro michettiano: nel paese di Tocco da Casauria, i due videro una procace ragazza che, urlante e scarmigliata, cercava di sfuggire all’assalto di un gruppo di pastori e contadini, abbrutiti dalla fatica ed ebbri di vino e di desiderio. Lo scenario principale fu fornito a d’Annunzio dall’aspro paesaggio della Majella orientale e soprattutto dalla suggestiva Grotta del Cavallone, ed è proprio la madre terra abruzzese che diventa un “tempio senza tempo”, depositario di miti, superstizioni e arcaismi che accostano l’Abruzzo ad una Arcadia mitica. L’atemporalità della tragedia di Mila di Codra è espressa anche attraverso un linguaggio dal sapore antico, primitivo e misterioso; un linguaggio ricco di idiomi dialettali che d’Annunzio salva dall’oblìo, consegnandoli all’eternità della letteratura. Un “canto dell’antico sangue” che riecheggia “nella terra d’Abruzzi, or è molt’anni”.

Con grande successo, la prima rappresentazione si tenne al Teatro Lirico di Milano il 2 marzo 1904: nel giorno di San Giovanni, un’allegra atmosfera in famiglia anima i preparativi per le nozze di Aligi tuttavia turbato da strani presagi. Nel mentre della cerimonia nuziale, irrompe in casa Mila, figlia di Codra (Iorio, un mago) per cercarvi rifugio dalle molestie di un gruppo di mietitori ubriachi. Quando Aligi, che inizialmente vorrebbe colpirla, ha una visione, si ferma e convince i mietitori ad abbandonare i turpi propositi. Mila e Aligi finiscono per convivere in un rifugio pastorale (la Grotta del Cavallone), nella speranza di sposarsi. Ma la situazione precipita: una sorella di Aligi rappresenta a Mila la disperazione della sua famiglia per l’allontanamento di Aligi. Mila fugge, ma viene fermata dal suocero che cerca di violentarla. Aligi interviene e, nella colluttazione, uccide il padre: Mila, si addebita la colpa e, proclamatasi strega, sarà condannata al rogo.

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