“Non vuole parlare della casupola dove nacque, in via della Giudecca, a Ortona. Non vuole dire ciò che faceva suo padre, sempre su e giù di prigione, né il triste mestiere di sua madre. Non vuole più ricordare l’aria di miseria, di ignoranza, di cupa superstizione che dovette respirare da bambino. Non vuole più parlare della terribile nonna che per così dire si prese cura di lui, abbandonato dai genitori: madre di sua madre, Marietta di nome, allora cinquantenne, in fama di strega”.
Giornalista, per una vita al Corriere della Sera, Dino Buzzati fu tra i più grandi e poliedrici personaggi della letteratura italiana del Novecento.
Negli anni ’60 girò l’Italia per conto del giornale alla ricerca di storie misteriose e fantastiche della tradizione: è un viaggio nell’Italia del dopoguerra dove sopravvivono superstizioni e ipocrisia, frammiste a grettezza e ignoranza: ne deriverà nel 1978, postuma, la raccolta di racconti pubblicati per il Corriere della Sera, “Misteri d’Italia“.
Così nel 1965 è a Ortona, mosso da una turpe storia vera raccontata da La Stampa sul finire degli anni ’30, per la quale si tenne un processo in Chieti: a un bambino di 5 anni, condotto in ospedale per un ascesso ombelicale, viene fatta una radiografia che evidenzia oltre trecento aghi, spilli e chiodi di 5 o 6 centimetri, disseminati in tutto il corpo. L’autrice dell’orrore reiterato è la nonna, che, mossa da superstizione, aveva ritenuto di dover così guarire dalla tubercolosi il genero-amante, zio del bambino, attuando una cosiddetta “fattura di trasferimento“.
Nonna e zio verranno condannati a 30 anni di reclusione. Il bambino, sopravvissuto, pur riuscendo ad affrancarsi dal disagio sociale in cui era nato, a formare una sua famiglia, ad avere un lavoro e a condurre una vita “normale”, dovrà affrontare oltre trenta anni di interventi chirurgici volti ad alleviare il suo corpo martoriato, sebbene molti aghi e chiodi, posizionati in organi che la medicina di allora non osava affrontare, resteranno in situ. Una vicenda che turbò l’opinione pubblica abruzzese e che nel racconto di Buzzati prende il nome de “Il bambino feticcio”, per l’analogia con l’arcaica pratica del voodoo.
La storia, citata ancora in recenti studi antropologici, per il suo impatto, divenne archetipo di molte altre storie, circolanti ancora oggi, in forme e in tempi diversi, in più di una regione italiana (nota, particolarmente, quella del tutto simile e per certi versi ancora più perversa, ambientata tra le province di Vercelli e Novara) o date alle stampe successivamente, come fu per “Corpi estranei” di Pier Paolo Giannubilo (Il Maestrale, 2008).
Il racconto riporta l’incontro dell’autore con la vittima della vicenda, ormai adulta, e il tentativo vano di intervistarla. Clicca qui per scaricare LA STORIA DEL BAMBINO FETICCIO di Dino Buzzati. Buona lettura.